Riflessioni di un atleta dopo cinquant’anni di chilometri e amicizie..
Da cinquant’anni corro. Cinquant’anni di chilometri, di sudore, di amicizie nate lungo i percorsi sterrati e le piste d’atletica. La corsa è stata per me molto più di una disciplina sportiva: è stata un linguaggio universale, un ponte tra generazioni, un veicolo di socialità che ha saputo unire persone diverse sotto lo stesso cielo, con lo stesso battito nel cuore.
Eppure, oggi, guardo con amarezza una frammentazione crescente nel mondo della corsa amatoriale e promozionale. Enti diversi, regolamenti paralleli, gare che si moltiplicano ma si dividono. Il risultato? Confusione, dissenso, imbarazzo. E, soprattutto, una disunione tra atleti che dovrebbero essere prima di tutto amici.
Lo sport, e in particolare la corsa, non dovrebbe mai diventare terreno di divisione. Non dovrebbe essere strumentalizzato da interessi di parte, né trasformato in un’arena burocratica dove si perde di vista il vero spirito atletico. La corsa è libertà, è condivisione, è rispetto reciproco. È quel momento in cui, fianco a fianco, si corre non per vincere contro qualcuno, ma per vincere insieme.
Mi rivolgo quindi a tutti gli enti, le associazioni, gli organizzatori: torniamo a mettere al centro l’atleta. Torniamo a pensare alla corsa come strumento di coesione, non di separazione. Creiamo regole comuni, riconosciute e condivise, che garantiscano equità e trasparenza. E soprattutto, ascoltiamo chi corre da una vita, chi ha vissuto lo sport come scuola di vita e come casa di valori.
Perché la corsa, quella vera, non ha confini. Ha solo orizzonti da raggiungere. Insieme.
Scritto da Camillo Campitelli Atleta, appassionato, testimone di cinquant’anni di corsa e di vita
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